top of page

Due soli colori sopra noi...

E' facile alzare la voce e sfotterli adesso, dopo aver vinto la partita più importante della storia di Roma! E' facile deriderli quando la loro ultima speranza (la nostra penalizzazione!) è caduta, ripensando alla profetica affermazione "vivete solo di nostre disgrazie"! E' facile godere ed essere ottimisti all'alba della finale di Supercoppa Italiana, partita che qualsiasi romanista avrebbe sognato di giocare all'Olimpico, con la stella sul petto! Ma l'essere tifosi della S.S. Lazio 1900 va oltre: non è un trofeo a darci forza, non è l'acquisto di un campione a renderci spavaldi, non sarebbe un "capitano" fedele a renderci orgogliosi! 

Siamo Laziali  perché altro non potremmo  essere,  perché  ci  hanno insegnato ad  amare un' idea ed  un ideale, perché conosciamo la nostra Storia... siamo Laziali a prescindere dal calcio e dai risultati, lo siamo per comportamenti, per modo di essere e di pensare... perché siamo consapevoli (ed in cuor loro sanno, ma fanno finta di non capire) che il Tifoso può solamente assistere, credere e sostenere, ma non ha la capacità di tirare un rigore, nè la ricchezza per comprare una società o stipendiare dei giocatori: chi tifa non ha responsabilità o colpe calcistiche!
Non pensiamo di essere migliori degli altri perché abbiamo avuto Piola o Nesta, nè per il gol al 71' di Lulic, ma perché riteniamo ovvio ed irrinunciabile tifare la prima squadra della città in cui siamo nati, la più antica e tradizionale, che diede una passione ai nostri nonni quando alternative non c'erano... la squadra che ha permesso loro di esistere, perché se avessimo accettato la "fusione", oggi non potrebbero definirsi "romanisti"!
Ridiamo di loro quando dicono che "senza totti non avrà più senso" ; quando parlano a vanvera di romanità, pur sapendo che le nostre famiglie vivevano al centro di Roma già nel 1900, e che il 90% degli immigrati (italiani e stranieri), che nulla hanno di "romano", tifano as roma per integrarsi, e non S.S. Lazio! Ridiamo quando citano la serie B, non capendo che i nostri padri la vissero con lo stesso orgoglio dello scudetto di Maestrelli e Chinaglia, così come i loro genitori seguirono con la stessa passione la "rometta" di Mazzone e la grande roma di Capello, e non c'è nulla di cui vergognarsi... anzi!
Ridiamo quando parlano dei "nostri scandali", facendo finta di non capire che non siamo stati noi a vendere le partite nel 1980, così come non sono stati loro a regalare rolex agli arbitri, o a comprare la finale del 1984... ridiamo quando organizzano coreografie per De Falchi e poi imbrattano i muri di Testaccio insultando un padre di famiglia vergognosamente ucciso... ridevamo quando ci facevano la morale per la nostra posizione politica o il nostro stile, e adesso, venti anni dopo, la stragrande maggioranza di loro la pensa come noi, si veste come noi, tifa come noi! Ridiamo quando parlano di gemellaggi, dimenticando, tra gli altri, quelli con Panathinaikos, Napoli, Milan, Bologna, e non ha senso citarne altri! Ridiamo quando scrivono "è la storia che vi condanna", ma il 9 gennaio 1900 ed il 26 maggio 2013 sono le uniche sentenze senza appello!
Società Sportiva Lazio ed i suoi tifosi, un solo simbolo sul cuore, due soli colori sopra noi, nessun numero e nessun nome sulle spalle... Elite di Roma, da sempre e per sempre!

 

B.S. (tratto dalla Voce della Nord del 18 agosto 2013)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tocca anche un pò capilli, mica è facile. Sono anni che leggono sui giornali degli amici (e non solo quelli che già dal nome ti fanno capire di che acida pasta siano fatti) di essere destinati ai traguardi più alti, alle imprese più gloriose, a risultati storici. E perfino il fatto che di storico la memoria ricordi solo sconfitte può passare in secondo piano, davanti alla speranza di un futuro di gloria. Solo che... Solo che il tempo passa, e alle sconfitte si accumulano altre sconfitte. Solo che passano tutti (abruzzesi, napoletani, libici, americani, sceicchi arabi) e la sola cosa che passa è quel desolante vuoto in bacheca.

Poi, un giorno, l’occasione della vita. La partita che da sola giustificherebbe una storia cominciata per caso e per volontà altrui, la partita che cancellerebbe in un attimo quel latente senso di inferiorità, quel complesso di inadeguatezza, quell’invidia neanche tanto ben nascosta sotto la spocchia altezzosa dell’immigrato inurbato nella Capitale. Quel trofeo che secondo er cappetano delle mille sconfitte "vale quanto una Champions", da giocare contro una rivale che "non è niente".

Solo che. Solo che anche quel trofeo lo vincono gli altri. Lo vince il niente. Lo vince la Lazio. Robba da anna’ in esilio dentro ar cesso, direbbe un indimenticabile Maestro. E per un poò infatti, un minimo di autocoscienza, barlumi di dignità, frammenti di consapevolezza ricompongono i frammenti di un'umanità tradita e dolente.

Solo che. Solo che le abitudini sono dure a morire, e i soliti "amici" ricominciano a soffiare sul fuoco.

E parte la nuova campagna: il Palazzo è storicamente nemico e artefice di vili complotti, ma Palazzi è uno giusto, uno bravo, uno che sa, uno che può. "Mo’ ce pensa Palazzi", nuova fiducia pervade l’animo dagli sventurati. Se sul campo non si vince niente, almeno fuori dal campo qualcosa riusciremo a fare. E giù con le risatine, gli ammiccamenti soddisfatti. Si rimette la testa fuori dal guscio, si intravede in lontananza di nuovo forse un pò di sole.

Solo che. Solo che, come sempre, so’ solo chiacchiere. Solo che alla fine, quando si dovrebbe passare dal "vorrei tanto" al "posso", tutto si scioglie, sparisce, evapora in un nulla inconsistente, come sempre.

Perché quello è. E’ come una fantasia da ragazzini scemi, o da adulti ancora più scemi. Non ha nemmeno la dignità, la poesia del sogno a occhi aperti, perché chi sogna a occhi aperti vuole solo generare con la fantasia un mondo migliore di quello in cui vive. E invece qui si sogna solo un mondo in cui gli altri - quelli che vincono sul campo - vengono incatenati, sconfitti, penalizzati, brutalizzati da un'oscura forza estranea, un "Deus ex machina" che appare a risolvere tutti i casini, le contraddizioni e i dolori di una storia che non si è capaci di governare, tristemente diversa da quella che si vorrebbe raccontare ai figli, e a figli dei figli. "Papà, abbiamo vinto?" "Si, figlio mio, abbiamo vinto!". Noi Laziali lo diciamo da una vita. E dopo quel 26 maggio, potremo dirlo per sempre.

Io un pò cerco di capirli. Un pò, se devo essere sincero, me ne strafrego. Perché si, magari di diventare romanista te l’aveva detto papà, ma così come hai fatto di testa tua per tante altre cose, potevi fa' pure pe' questa. Invece no. Invece di guardarti intorno e ragionare con la tua testa, invece di andare dove ti portava il vero cuore di questa città, hai preferito stare nel branco, compiacerti di letture e amicizie di basso livello, rassicurarti di chiacchiere e illusioni. E allora, caro mio, rosica. Continua a rosicare, sperando che arrivino un Palazzi, un Platinì, un Maramaldo qualsiasi, che possano togliere agli altri quello che si sono guadagnati sul campo, quello che tu non sei mai stato capace di avere, non sei mai stato degno di sfiorare. Continua, pitocco, a sperare nell'elemosina degli dèi. E rosica, guardando gli eroi che non mollano mai, e portano a casa la Vittoria: frutto di sudore, lavoro, sacrificio, umiltà, unità, dignità, orgoglio.

Come potevi sperare che fosse tua, tu, che di tutto questo non ha mai compreso il significato, tronfio nell’arroganza meschina del "tutto mi è dovuto"? La tua è la petulante meschinità del mediocre Tersìte, che viene cacciato a bastonate dall'assemblea dei guerrieri. In questa città la Vittoria ha solo il nome della Lazio. Da sempre. Fattene una ragione.

 

Articolo preso dal web

 

bottom of page